Mentre nel salone principale di Palazzo Mora si sta ancora svolgendo la performance di Gianni
Emilio Simonetti, nella stanza accanto il duo artistico Andrigo e Aliprandi inizia a prepararsi. Dopo
qualche minuto il pubblico è invitato ad entrare.
Aldo Aliprandi inizia il suo canto, accompagnando da lontano i movimenti di Marianna Andrigo.
L’uomo osserva dal lato opposto della stanza la compagna, ma presto la sua visuale è oscurata
dalla presenza degli spettatori che da subito rimangono incantati dall’azione della performer. Essi
si avvicinano alla donna, vogliono osservane da vicino i movimenti, ma allo stesso tempo
rimangono ad una certa distanza dalla stessa. Come ipnotizzato il pubblico osserva la scena in un
silenzio contemplativo, rispettando l’azione e soprattutto la concentrazione dei due performer.
Il corpo nudo della donna è costretto all’interno di un involucro di plastica, completamente
sottovuoto. La luce si riflette su di esso, facendolo somigliare ad una scultura di cristallo. Una
statua costituita da pieghe plastiche, luci ed ombre. La performer svolge la sua danza alternando
scatti meccanici a movimenti più morbidi ed armoniosi. In questo modo si vengono a creare dei
disegni casuali sul muro della stanza, ombre luminose che sono lo specchio degli spostamenti
dell’artista.
Siamo di fronte ad un corpo limitato, il quale non sembra cercare una via d’uscita, ma piuttosto una
convivenza all’interno del proprio involucro. Le mani della donna cercano di muoversi agli estremi
della copertura, prima accartocciando e poi svolgendo le dita in movimenti brevi. Allo stesso modo
tutti gli arti del suo corpo seguono delle linee immaginarie nello spazio, facendo nascere una
danza plastica, ma non artificiosa.
La coreografia della donna è guidata da una melodia che riecheggia nello spazio. Ciò che
ascoltiamo sono suoni modificati: il canto di Aliprandi unito ai movimenti che Andrigo crea sulla
pedana su cui si muove. Anche il performer sembra eseguire una danza, le sue mani si muovono
assecondando i propri vocalizzi, in connessione con la compagna. Il legame tra i due non è visivo,
ma totalmente focalizzato sui movimenti dell’uno e dell’altro e quindi sui suoni che essi producono.
Ciò che sentiamo è dunque l’unione delle energie dei due performer, una corporale e l’altra vocale.
Fondamentale e centrale è proprio l’energia che i due sprigionano assieme, trasmettendo la stessa
al pubblico che ipnotizzato osserva la scena.
Gli spettatori osservano principalmente la performer, incantati dai suoi movimenti ed allo stesso
tempo sconcertati da ciò a cui stanno assistendo. Solo quando la stanza inizia a svuotarsi si può
ammirare l’azione nella sua totalità. In quel momento il legame tra i due torna ad essere visivo e
una diagonale immaginaria sembra legare l’uno all’altro. La connessione tra i due partner si fa così
più forte, la relazione in quel momento non è solamente uditiva, ma anche visuale. L’immagine che
si viene a creare è quella di due corpi che si rafforzano l’uno con l’altro, sprigionando allo stesso
tempo una potenza che si riversa nel pubblico, che lo stesso è pronto ad accogliere.
L’azione è continua e ripetitiva, sembra non avere una fine. La performance infatti non ha una
conclusione prestabilita, è una danza infinita, un mantra corporale che sprigiona energia. A porre
fine all’azione è l’inizio della performance di Olivier de Sagazan, a qual punto il pubblico è invitato
ad uscire. L’immagine della danza artificiale è ancora impressa nelle nostre menti, quando nel
salone principale inizia l’ultima performance di questa serata inaugurale.
Venice International Performance Art Week
13 - 20 Dicembre, 2014
13 Dicembre, 2014
Marianna Andrigo e Aldo Aliprandi, Vacuum (2013)
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