30 gennaio 2014

Elvis ed i suoi giovani amici


Venezia è sempre pronta a rivelare nuove sorprese. Anche questa volta la Fondazione Bevilacqua La Masa lascia spazio a quindici giovani artisti affiancati da tre altrettanto giovani curatrici.
Elvis ha lasciato l'edificio si propone di unire in un'unica mostra i lavori realizzati durante il laboratorio di Arti Visive Iuav tenuto da Alberto Garutti con l'assistenza di Caterina Rossato. Sotto l'ala protettiva ma anche giudicatrice dell'artista italiano, i ragazzi, nonostante i primi dubbi e le iniziali timidezze, hanno prodotto opere di alto valore concettuale ed estetico.
Alle 19.00 la performance di Pietro Bonfanti dà l'avvio ufficiale alla mostra. Silenzio in sala ed ecco che qualcosa accade, ma anche nulla: una sfera d'argilla viene posizionata sopra un'asse di legno, l'artista toglie il panno umido che l'avvolgeva, questo viene immerso in acqua e strizzato, poi riposto nuovamente sopra l'argilla ed infine i vari strumenti vengono appoggiati su di un lato della stanza. La performance è terminata. Niente di più e niente di meno di ciò che abbiamo visto. La palla di creta rimarrà esposta come un monumento senza forma, ed in continuazione verrà bagnata affinché resti viva. Il lavoro è quello che è e ci basta, la scultura è tutto e niente, possiede il potenziale per diventare qualcosa d'altro, ma la sua grande forza sta nel voler rimanere ciò che è.
Pura e semplice è anche l'installazione di Gaia Ceresi. Con l'intenzione di dare forma ad una tipica tecnica di rilegatura, l'artista vuole soffermarsi sul valore dell'atto artigianale rispetto a quello artistico. Posizionando sopra delle vuote risme di fogli delle colonne di pietra, essa svuota di significato l'antico lavoro artigianale innalzandolo ad un senso differente. Si vengono così a creare delle forme nuove, le quali ora non sono altro che lineari sculture.
Continuando nella stanza seguente il video di Guido Modanese è la semplice testimonianza di un'anziana signora. La donna racconta la propria vita all'interno dell'involucro protettivo della propria casa e ciò che lo spettatore può osservare è solamente il suo rifugio. Le parole della signora accompagnano e guidano la nostra visione, che a poco a poco si insinua sempre più nella sua vita che ora è solamente racchiusa tra quattro mura. Quadri, fotografie, vestiti, mobili, centrini, crocifissi, nulla può cambiare affinché l'anziana donna continui a sentirsi al sicuro nella sua abitazione, il suo mondo.
Descrivono invece la fine di un percorso i monocromi disturbati di Valentina Furian. Il lavoro presenta l'usura e la fine del processo di un macchinario industriale quale una stampante. Le immagini raccontano la conclusione di una vita, ma anche il passato della stessa, celando alla nostra vista l'intero processo. Ciò che è esposto è la fine di un procedimento che continua fino al termine delle sue possibilità. L'opera pone l'attenzione sul sistema di colorazione RGB delle stampanti, e quindi ragiona sull'esaurimento delle stesse.
Nello spazio di Palazzetto Tito i lavori delineano una sorta di percorso, il quale sembra raccontare l'avventura del laboratorio. Partendo dalla potenzialità di una sfera d'argilla, la quale cela dentro di sé miriadi di possibilità, si dà inizio ad un percorso che termina con il video di Lorenzo Comisso a confronto con l'artista e insegnante Alberto Garutti. Il lavoro sembra concludere al meglio l'esperienza del laboratorio affrontata dai ragazzi.


Pietro Bonfanti
Monumento a quell'anarchico, 2013

(foto di Fabio Valerio Tibollo)


Artisti in mostra: 

Susanna Alberti, Edoardo Aruta, Marzia Avallone, Pietro Bonfanti, Gaia Ceresi, Lorenzo Commisso, Valentina Furian, Yulia Knish, Leonardo Mastromauro, Graziano Meneghin, Guido Modanese, Francesco Nordio, Serena Oliva, Fabio Valerio Tibollo, Laura Tinti.

Curatori:

Rachele Burgato, Valentina Lacinio, Giulia Morucchio


Elvis ha lasciato l'edificio

Fondazione Bevilacqua la Masa, Palazzetto Tito - Venezia
29 Gennaio - 9 Febbraio 2014
10.30 - 17.30
chiuso Lunedì e Martedì

link utili: elvishalasciatoledificio.tumblr.com





23 gennaio 2014

Gohar Dashti: stare dentro a ciò che è fuori

A Milano la galleria Officine dell'Immagine presenta per la prima volta una retrospettiva dell'artista iraniana Gohar Dashti dal titolo Inside Out e curata da Silvia Cirelli. Nata e ancora oggi residente a Theran, Gohar esemplifica con le proprie fotografie il disagio di una generazione che ha dovuto affrontare tragedie collettive diventate personali. L'artista infatti nasce durante la Rivoluzione Islamica che colpicse l'Iran nel 1979, e trascorre la sua infanzia durante la sanguinosa Guerra Iran-Iraq (1980-1988). I suoi lavori sono metafore paradossali della vita quotidiana della popolazione iraniana. Le ambientazioni segnate dalla guerra fanno da sfondo a personaggi allegorici, i quali compiono le più normali azioni senza curarsi di ciò che sta loro attorno.
Presso la galleria sono esposti alcuni lavori delle diverse serie realizzate dall'artista. Essi sono la rappresentazione del' "inside out": uno stare dentro il fuori, un essere presenti in una realtà che ormai è propria del popolo iraniano, sebbene ne sia estranea, una realtà militare e guerrigliera. 
Today's Life War #4, 2008
Del 2008 è Today's Life War nelle cui immagini una coppia svolge le azioni più comuni come fare colazione, guardare la televisione, dormire e leggere il giornale, continuamente circondati da elementi di disturbo quali carri armati, soldati, bunker ed elmetti abbandonati. Interessante è il puro contrasto che si crea tra le azioni quotidiane che ognuno di noi è abituato a compiere ed una realtà così distante dalla nostra. I protagonisti delle fotografie sembrano vivere come se ormai fossero abituati a quella che non è più l'eccezione ma la regola: la costante presenza della guerra.
Slow Decay #2, 2010
L'ambientazione si fa più intima in Slow Decay del 2010. Le fotografie sembrano penetrare uno spazio familiare, come delle finestre esse portano alla luce i disagi dei componenti di una famiglia iraniana: dalla bambina che si addormenta di fronte ad un telefono insanguinato al padre pensieroso sopra un letto in un ambiente spoglio.
Spazi più ampi sono quelli della serie Volcano del 2012. Le pose plastiche dei protagonisti sembrano essere dei fermi immagini di una realtà surreale: tutti ridono apparentemente senza un motivo particolare. Le ambientazioni sembrano essere dei teatri dell'immaginario collettivo in bilico tra realtà e finzione.
L'ultima serie del 2013 è Iran, Untitled. Le fotografie mettono in evidenza la realtà iraniana negli spazi desertici e desolati della periferia di Mashhad. Recinti immaginari fissano gruppi di persone in una piccola porzione di spazio rispetto all'immensità che li circonda. I personaggi delle immagini sembrano essere stati estrapolati dal loro contesto originario e trasportati improvvisamente in un paesaggio spoglio e minimalista. Ognuno di loro guarda in una diversa direzione, cosa attiri la loro attenzione non ci è permesso di vederlo, che cerchino forse delle risposte per il loro futuro?



Iran, Untitled #7, 2013



Gohar Dashti. Inside out

24 Ottobre, 2013 - 24 Gennaio, 2014

9 gennaio 2014

Questi illustri illustratori



Nello splendido salone della Basilica Palladiana sono presentati, fino al 12 gennaio, i lavori di undici illustratori. I giovani under 40 sono tutti italiani e non sono dovuti fuggire all'estero per lavorare, ma nonostante ciò utilizzano internet per pubblicare i loro lavori principalmente oltreoceano. Sebbene il curatore Ale Giorgini sia anche uno dei talentuosi illustratori,  l'organizzazione della mostra risulta equilibrata e ben definiti sono gli spazi per ogni artista.
I lavori esposti sono eterogenei, i vari illustratori infatti utilizzano ciascuno una tecnica ed uno stile originali ed unici. Sono una sorta di teatrini in carta i lavori del duo Bomboland, che a me tanto ricordano i libri pop-up. Linee sinuose e matissiane si trovano invece nelle illustrazioni di Olimpia Zagnoli, la quale sintetizza le forme attraverso sagome colorate. Colorati e particolari sono anche i collage in feltro realizzati da Jacopo Rosati che ha fatto di questo materiale il suo marchio di fabbrica. Serigrafie sono invece quelle di Umberto Mischi e Ale Giorgini, le prime contraddistinte da una linea morbida e le seconde caratterizzate da gruppi di personaggi misteriosi e spesso conosciuti come quelli di Blade Runner e Star Wars. Dallo stile giapponese sono caratterizzate le tavole di Rubens Cantuni, le quali lasciano trasparire anche un interesse per l'ambiente underground che a me sembra già visto. Ammiccanti sono le proposte di Mauro Gatti, sorridono i suoi personaggi affiancati alle opere digitali di Francesco Poroli che poco mi convincono per la loro fredda compostezza. Sarà che preferisco i lavori di Emiliano PonziAlessandro Gottardo e Riccardo Guasco, i quali mi ricordano le illustrazioni più tradizionali e quindi nostalgiche di carta, matite e acquerelli.
Una mostra davvero ben pensata: dall'ordinato allestimento ai numerosi interventi degli stessi autori, dalla fitta comunicazione all'umiltà degli organizzatori nonostante il grande successo. Come non desiderare che altre mostre simili siano realizzate?


Illustrazione di Ale Giorgini


Questo è il trailer della mostra

Basilica Palladiana - Vicenza
14 Dicembre, 2013 - 12 Gennaio, 2014
10.00 - 18.00
chiuso lunedì

4 gennaio 2014

Gianni Berengo Gardin: raccontare per immagini

Venezia, 1960


Il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri a Verona presenta in questo periodo una mostra dedicata a Gianni Berengo Gardin e curata da Denis Curti. L'esposizione, già presentata a Venezia e a Milano, mette in mostra circa duecento fotografie suddivise in dieci sezioni, le quali trasmettono ritmo e carattere al lavoro dell'autore, rendendone la lettura maggiormente piacevole e fluida. 

Il fotografo inizia a catturare la quotidianità negli anni Cinquanta a Venezia, e importante è la documentazione che egli fa delle proteste sessantottine nella città lagunare. Presto si sposta in Francia per studiare fotografia, dove apprende da  Willy Ronis la poetica del reportage e della fotografia sociale.
Venezia però rimane sempre nel cuore del fotografo dove spesso ritorna scattando alcune tra le sue più famose fotografie: i due amanti che si baciano sotto i portici di Piazza S. Marco (sebbene a quel tempo fosse proibito baciarsi in pubblico) o ancora Piazza S. Marco deserta dove una sola bambina corre in mezzo alla neve circondata da piccioni in volo. Negli anni Sessanta pubblicherà Venise de Saison le cui fotografie presentano una Venezia differente da quella turistica, ovvero quella dei veneziani.
Istituto psichiatrico - Parma, 1968
Un altro lavoro davvero interessante è Morire di classe, realizzato assieme alla fotografa e scrittrice Carla Cerati verso la fine degli anni Sessanta. I due svolgono una ricerca all'interno di alcuni manicomi dando un contributo fondamentale per l'approvazione, nel 1978, della legge 180/78 che avrebbe fatto chiudere i manicomi.
La ricerca di Gianni Berengo Gardin continua nelle comunità Rom del nord Italia. Senza pregiudizi e morale, la serie fotografica testimonia la vita delle particolari comunità, dalla madre che lava il figlio in una tinozza alle prove di alcuni musicisti.
Il fotografo è rimasto sempre fedele alla sua macchina fotografica analogica e al bianco e nero, il carattere delle sue fotografie si ritrova anche in questo: forti sono i contrasti e le figure mai del tutto definite. Gianni Berengo Gardin insiste nel definirsi non un artista ma un fotografo, sente piuttosto che il suo lavoro è vicino a quello di uno scrittore, solamente che egli ha scelto di utilizzare le immagini e non le parole per raccontare le storie della vita quotidiana.
Campo nomadi, 1993


Consiglio di prendere l'audioguida per ascoltare alcune spiegazioni del curatore Denis Curti e qualche curiosità direttamente dall'autore. Inoltre da vedere è la video intervista a Gianni Berengo Gardin dove molti sono gli accenni autobiografici ma anche tecnici.






Normandia, 1933



Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo 

Centro Internazionale Scavi Scaligeri - Verona
26 ottobre, 2013 - 26 gennaio, 2014
10.00 - 19.00
chiuso lunedì

3 gennaio 2014

Schiacciante delusione per lo Schiaccianoci

Per aprire in bellezza il nuovo anno ho deciso di andare a teatro per assistere al balletto dello Schiaccianoci. La coreografia di Lev Ivanov è stata eseguita dal Royal Ballet of Moscow sulle musiche di Tchaikosky.
La favola dello "Schiaccianoci e il Re dei topi" narra la vicenda di Clara che alla Vigilia di Natale riceve in regalo dallo zio uno schiaccianoci a forma di soldatino. La bambina si addormenta alla festa e sogna di una strana realtà in cui tutti i giocattoli prendono vita ma dove alcuni topi cercano di rubarle lo schiaccianoci. In quel momento il soldatino prende vita ed inizia a combattere finendo con l'uccidere il Re dei Topi, trasformandosi infine in un bellissimo Principe.
In questa prima parte le danze sono confuse e i costumi troppo sfarzosi tendendo al kitch. Gli unici personaggi che si salvano sono i topi soldato che ben si inseriscono nelle danze con le loro grandi teste da topo.
Più ordinata è la seconda parte in cui Clara segue lo Schiaccianoci nel Regno dei Dolci dove la Fata Confetto ascolta le avventure del Principe. Iniziano infine una serie di danze le quali culminano nel "Valzer dei Fiori". Il Principe Schiaccianoci chiede a Clara di restare ma lei sa che quello non è il suo posto risvegliandosi così dal proprio sogno.
Le danze in questa parte sono eseguite in gran parte da coppie provenienti da diversi paesi nel mondo. Purtroppo la coppia cinese risulta stereotipata per i costumi ma soprattutto per la coreografia, se l'intenzione era di renderli simpatici il risultato è che erano ridicoli. La migliore interpretazione è sicuramente quella della coppia araba, appassionata la loro danza e perfetta l'unione dei corpi dei due ballerini.

Non sono stata quindi soddisfatta del balletto, tante erano le aspettative purtroppo del tutto schiacciate dalla delusione. 



1 gennaio 2014, Teatro di Vicenza


Lo Schiaccianoci
balletto in due atti ispirato ad un racconto di E.T.A. Hoffamn
coreografia di Lev Ivanov, Marius Pepita
musica di Pyotr Ilyich Tchaikovsky
adattamento di Anatoly Emelyanov
libretto di Marius Pepita
adattamento di Anatoly Emelyanov
scene e costumi di Valentin Fedorov